A scuola di Mindset – parte uno


Leggi la parola “mindset” e pensi subito ad una sveglia che suona alle 5 del mattino e ad una doccia fredda.

Colpa di Tony Robbins che meglio degli altri ha inculcato il dogma del risveglio militare come conditio sine qua non per una vita di successo.

In realtà il tema del mindset è molto più di questo, si tratta di qualcosa di complesso ed estremamente affascinante.

Proprio per questo voglio raccontarti ciò che so sull’argomento – libri che ho letto e corsi che ho fatto – perché se come me sei scettico e vagamente infastidito dai santoni new-age, rischi di perderti un pezzo fondamentale per la tua crescita, sia professionale che personale.

Oltre i pregiudizi

Il “trigger” per me è stata una citazione di un certo Albert Einstein che diceva: “non possiamo risolvere i nostri problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”.

Semplice e illuminante vero?

Il modo in cui pensiamo e vediamo le cose influisce direttamente sulla nostra capacità di trovare soluzioni.

In altre parole, per poter risolvere un problema che non abbiamo mai risolto dobbiamo prima diventare il tipo di persona che potrebbe risolverlo.

No, non è una supercazzola.

Rileggi questa frase e riflettici attentamente.

Dobbiamo spostare il focus dalle azioni al “chi siamo”.

E proprio qui viene il bello.

L’immagine di sé: psico-cibernetica

Converrai che non esiste una versione oggettiva di te.

Ognuno ti conosce e riconosce per tratti fisici e caratteriali diversi.

Tu per primo hai una immagine soggettiva di te, ed è proprio quell’immagine che devi cambiare se aspiri ad un obiettivo che non hai mai raggiunto.

Ma andiamo con calma.

A metà del ‘900, lo psicologo e chirurgo Maxwell Malz teorizzò per primo il concetto di immagine di sé e del suo ruolo nel comportamento umano.

Nel suo libro Psychocybernetics sostiene infatti che l’immagine che ognuno ha di sé funge da “calamita” per i propri comportamenti.

Proviamo a capire meglio questo concetto.

Ognuno di noi, inconsciamente, tende a compiere solo azioni coerenti col tipo di persona che crede di essere.

Facciamo un esempio pratico: se per qualche motivo ti sei convinto di non essere il tipo di persona portata per la matematica, tenderai ad evitare tutte quelle situazioni dove la matematica è richiesta.

Questo in primo luogo ti porterà a non allenare questa abilità, creando così una profezia auto-avverante.

Ma non solo: sarai portato a riconoscere ed enfatizzare solo quei momenti in cui potrai confermare a te stesso di non essere effettivamente portato per la matematica e ignorerai – o sminuirai – tutti quelli opposti.

Agire coerentemente con l’immagine che abbiamo di noi ci dà sicurezza; al contrario ogni azione che in qualche modo va in conflitto con la nostra immagine ci crea disagio e ansia.

Possiamo sforzarci di essere quello che non siamo – o meglio, quello che siamo convinti di non essere – ma presto o tardi l’immagine che abbiamo di noi attrarrà i nostri comportamenti inconsci.

Questo, in estrema sintesi, il concetto di psico-cibernetica.

Ma andiamo avanti.

Pensieri lenti e veloci

Il libro “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002, ci fornisce un numero imbarazzante di informazioni riguardo al funzionamento del cervello umano e sui bias comportamentali.

Il concetto principale è che ognuno di noi dispone di due livelli di pensiero: uno lento – che richiede sforzo e ragionamento analitico – e uno veloce – che è automatico e basato su intuizioni e associazioni.

L’esempio più semplice per spiegare questo concetto è forse la guida: la prima volta che hai guidato un’auto la tua concentrazione era massima, ogni energia del tuo corpo era dedicata a capire come mettere le mani, i piedi, come bilanciare la frizione.

Se però guidi già da qualche anno ti sarà sicuramente capitato di trovarti a destinazione ma senza ricordare neppure quale strada hai fatto.

Com’è stato possibile?

Un’azione ripetuta nel tempo “penetra” nella mente inconscia e diventa un pensiero veloce, un gesto automatico.

Un pensiero veloce ha il vantaggio di richiedere uno sforzo minimo per il cervello e, siccome siamo programmati per efficientare al massimo la nostra energia, si stima che il 95% delle nostre azioni sia di questo tipo.

Pensaci: cosa succederebbe se ogni volta che ti alzi da letto, fai colazione, ti lavi i denti, ti vesti, fosse come la prima volta che esegui quel gesto?

Saresti già stremato dopo poche ore dal risveglio. O più semplicemente impazziresti.

Ma cosa c’entra tutto questo col mindset?

Seguimi.

I risultati che ottieni sono la diretta conseguenza delle tue azioni.

Abbiamo detto però che il 95% delle azioni sono in qualche misura involontarie.

Un’azione volontaria per diventare involontaria deve essere ripetuta più volte nel tempo – in realtà, come vedremo poi, non è tanto una questione di tempo quanto di frequenza.

Se però provi a perpetrare azioni volontarie che vanno in conflitto con l’immagine che hai di te, inconsciamente tenterai in tutti i modi di auto-sabotarti.

Ne consegue che la prima cosa che devi fare per raggiungere un risultato non è concentrarti sulle azioni ma modificare l’immagine che hai di te, che non è oggettiva ma frutto delle tue credenze.

Ma come?

Un po’ di spunti:

FINE PRIMA PARTE

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